Quanta ipocrisia sugli scontri in Parlamento

Quanta ipocrisia su ciò che sta accadendo in questi giorni in Parlamento. Quanti sepolcri imbiancati, quante dame di San Vincenzo, quanti “signora mia!” e monocoli che scivolano! Il Parlamento, nelle caricature di qualcuno di questi ipocriti, sembra fino a ieri fosse un collegio per educande. In tv qualche parlamentare Pd, con piglio severo e ditino alzato, dice che “mai nella storia repubblicana” e continua a stigmatizzare l’eccezionalità eversiva del Movimento 5 Stelle.

Ora, è chiaro (e valga da Disclaimer per tutti quelli che tenteranno di dire che questo post occhieggia alla violenza o agli assalti grillini) che niente giustifica — nemmeno l’asprezza della battaglia politica, nemmeno le più violente (sì, violente, ché il potere è violento al di là delle parole e persino al di là degli schiaffi di Dambruoso) azioni — dare delle ‘pompinare’ a delle deputate oppure pronunciare frasi scurrili, insulti, minacce.

Ma che questo non sia mai accaduto prima è una mistificazione, ed è o il frutto dell’ignoranza della storia (parlamentare) repubblicana, oppure della malafede che, complici i giornali e i media (ormai allineati in un renzismo imbarazzante), intende additare il M5S e renderlo il mostro che si mette di traverso rispetto al bene del paese.

A questi boy scout o parvenu della politica occorrerebbe ricordare che la storia parlamentare repubblicana è costellata da situazioni simili a quelle dei giorni scorsi, se non peggiori. Dalla tavoletta del seggio finita in fronte a Meuccio Ruini, presidente del Senato, che viene portato via sanguinante mentre grida un eroico “Viva l’Italia!”, alle zuffe sulla legge-truffa (che, detto per inciso e a favore di coloro che sostengono che il contesto era diverso: era molto meno ‘truffa’ sia del Porcellum che dell’Italicum), ai cappi e alle manette nel periodo di Tangentopoli, a Gullo (PCI) che dà ai democristiani delle beghine, suore sepolte vive, paralitici, ai comunisti che mandano in infermeria Tomba (DC) nel 1948, ai radicali che saltano sui banchi della presidenza e si dirigono minacciosi verso Nilde Iotti, a coloro che stappano champagne e mangiano mortadella alla caduta di Prodi.

Allora di che cianciano coloro che dicono che il momento è gravissimo e che “mai e poi mai”…? O non sanno quello che dicono, oppure sono in malafede.

Per non dire di quelli che vent’anni fa stilavano l’atto di accusa del presidente della Repubblica e scrivevano le seguenti parole:

a tesi centrale della denuncia – messa a punto e sottoscritta dalle presidenze dei gruppi di Camera e Senato sulla base della bozza stilata da Luciano Violante – è che Francesco Cossiga li abbia “intenzionalmente” varcati per “modificare la forma di governo”. E questo, estendendo “le proprie funzioni e prerogative” ben oltre quelle assegnate dalla Costituzione al capo dello Stato, con una “concatenazione logica e temporale” di atti e comportamenti. Le ragioni della denuncia. Il presidente viene accusato di aver “interferito illegalmente nelle attività del Legislativo, dell’ Esecutivo e del Giudiziario”, e di aver avviato “l’ esercizio di una propria funzione governante”: che è “inammissibile”, “autoritaria” perché non regolata, e “altamente pericolosa perché non sostenuta da alcuna responsabilità politica”. Cossiga, sostiene il Pds, ha aperto un “incostituzionale circuito tra partiti e presidente”, e assunto comportamenti da “capo di un partito” violando “un inderogabile dovere di imparzialità”. Il tutto, avverte il documento, nella “piena consapevolezza” di essere “al di fuori dell’ ordinamento costituzionale”. Con la “strumentalizzazione” dei media “per conquistarsi una parte dominante nei conflitti da lui stesso aperti”. E con uno schema fondato sull’ “ambiguità”, fatto di dure accuse e poi della denuncia delle reazioni come “persecuzioni”. Per questo, l’ impeachment è la via “corretta” per rimuovere “un fattore decisivo di confusione istituzionale” e impedire che “possano consolidarsi prassi di prevaricazione e di interferenza”. Il cambiamento della forma di governo.

E ancora:

L’ attentato alla Costituzione. E’ questo ciò che la quarta parte della denuncia tenta di dimostrare, affermando che Cossiga “si è fatto portatore di un personale disegno per la soluzione della crisi italiana che prevede lo scavalcamento delle regole fissate dalla Costituzione per modificare la forma di governo e la stessa Costituzione”. Di qui, il riferimento alle norme del codice penale che integrano l’ articolo 90. A cominciare dall’ articolo 283, che indica in chi commette “fatti diretti a mutare la Costituzione o la forma del governo con mezzi non consentiti” l’ autore di un attentato alla Costituzione. Usurpazione di potere politico. A norma dell’ articolo 287, Cossiga ha “usurpato un potere politico” di pertinenza del Parlamento quando ha minacciato di non firmare, e di fatto non ha ancora firmato, la proroga della Commissione stragi; condizionando il confronto sul disegno di legge Mancino sul Csm; minacciando lo scioglimento delle Camere “con un atteggiamento sanzionatorio”, e come se la decisione dipendesse solo da lui. Attentato contro organi costituzionali. Il presidente ha “gravemente interferito nell’ attività di governo”

Tutte cose che, al di là della differenza di contesto, sembrano scritte oggi e non ieri.

Cosa è cambiato? La spiegazione consiste, oltre che nell’impreparazione crescente del ceto politico, diviso tra hooligans e boy scout, e inadatto alla vita parlamentare percepita come un pranzo di gala, nella fortuna che ha avuto la parola ‘divisivo’, usata come un insulto o comunque come un’accusa di ‘disfattismo’ nei confronti di chi ‘attenti’ al ‘bene del Paese’. E qui ci sarebbe da parafrasare Proudhon: chi dice ‘il bene del Paese’ tenta di ingannarti. Ma che vuol dire divisivo? Vuol dire qualcuno che divide, che si tira fuori dalla melassa consociativa, che fa opposizione, che rifiuta il consenso transpartitico garantito dalla supervisione arcigna e interventista del Capo dello Stato.

Ma non era proprio la ‘divisività’ l’ubi consistam della politica? Non era il conflitto, lo scontro dialettico (certo ben temperato, certo dentro le regole, certo dentro il rispetto degli altri), il dividersi in parti (cos’altro sarebbero se non questo, i ‘partiti’?!) l’essenza della politica?

Ecco, il dissenso non ha più senso: chi dissente è un ‘disfattista’, è colui che attenta al bene del Paese, che — in una ridicola quanto pericolosa visione manichea — incarna il male.
Pensavamo che la burletta Berlusconi, col suo riferirsi al bene e al male, all’invidia e all’amore, ovvero con il suo evocare passioni e sentimenti, valutazioni morali, avesse introdotto in politica termini ormai espunti. Ma Berlusconi era una macchietta, una caricatura.
Preoccupa davvero invece il tono con cui le stesse cose vengono dette da autorevoli e certo meno ‘canagliesche’ figure istituzionali, dai compassati ex democristiani agli impettiti ex comunisti…

ps: Disclaimer per quelli in malafede: non ho votato Grillo (altro aspetto grave: per esprimere una critica occorre fare questo tipo di dichiarazioni)

 

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